Paralisi Cerebrale Infantile (PCI), dal Dr. Little ad oggi

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Definizione di Paralisi cerebrale infantile: una storia lunga

Nel 1964, Bax pubblica la prima definizione di Paralisi Cerebrale Infantile: “Persistente disordine del movimento e della postura dovuto a una lesione non progressiva di un encefalo prematuro”.

Prima, però, di giungere a questa definizione, il percorso fu travagliato. 

Storicamente, si fa risalire la scoperta di questa patologia ad un chirurgo ortopedico inglese, Sir John William Little, che nel 1892 osservò e classificò una serie di deformità scheletriche congenite di diverso tipo, in bambini che avevano segni neurologici centrali (ricoverati all’ Idiot Hospital, termine terribile col quale si denominavano bimbi con difficoltà) ed erano accomunati dal fatto di avere avuto un parto problematico e difficile. Il dottor Little, inoltre, si accorse che le deformità erano diverse nei neonati prematuri (cioè nati prima della 37° settimana di gravidanza) i quali mostravano deficit prevalenti agli arti inferiori, da quelli nati a termine di gravidanza, che invece li avevano a tutte e quattro le estremità. Little non si limitò a classificare questi piccoli pazienti, ma si adoperò anche per cercare di alleviare le loro sofferenze, provando a recidere chirurgicamente i tendini dei muscoli maggiormente contratti, per migliorare le deformità che affliggevano questi bambini. Le difficoltà maggiori che incontrò nel suo lavoro, tuttavia, riguardavano soprattutto un aspetto, ovvero la distinzione di questi pazienti da quelli, allora molto più comuni, con esiti di Poliomielite (infatti in quegli anni non esisteva ancora l’anti Polio, che oggi protegge tutti i bambini vaccinati da questa terribile malattia). Inoltre, come quasi sempre succede a coloro che si fanno pionieri nella scienza, all’inizio venne osteggiato, ma col tempo altri studi confermarono le ipotesi del dottor Little, che come spesso accade in medicina, diede il nome a quella che oggi conosciamo come diplegia spastica (morbo di Little). Tuttavia solo un secolo dopo, nel 1962 veniva chiarito quale fosse la lesione cerebrale che causava la diplegia spastica, ovvero la leucomalacia periventricolare, che vede di decennio in decennio la sua incidenza ridursi sensibilmente, grazie al progresso delle cure e della sempre più specifica attività delle Unità di terapia Intensiva Neonatale.
Oggi grazie alle tecniche sofisticate di diagnostica per immaini, sempre più precise e nitide, riusciamo ad associare un tipo di manifestazione clinica ad una singola specifica lesione, come ad esempio la tetraparesi spastica come esito di una  asfissia perinatale, l’emiplegia come esito di uno stroke (ictus ) arterioso perinatale, la diplegia spastica da leucomalacia periventricolare; per ovvie ragioni tecniche, il dottor Little non poteva distinguere in maniera così precisa lesioni che affliggevano i suoi pazienti, per cui venne naturale che il termine “Paralisi Cerebrale Infantile” pian piano divenne un’ etichetta apposta a tutti quei bambini con quadri neurologici che si caratterizzavano per l’interessamento del sistema nervoso centrale, che sembravano progressivi nelle difficoltà motorie e che insorgevano precocemente.
In quegli anni il dibattito scientifico sulla Neurologia e su quella che poi sarebbe diventata Neuroscienza, era molto florido: ecco che a dire la sua su questo problema, giunse un signore piuttosto famoso: Sigmund Freud. Egli infatti, nel tentativo di studiare i danni tissutali presenti nell’encefalo e correlabili a manifestazioni neurologiche precise, fu il primo ad accorgersi che la definizione di PCI data da Little era a suo vedere incompleta. Nel 1957 si fondò letteralmente un club, il “Little Club”, composto da studiosi che volevano inquadrare con maggior precisione questa problematica. E’ proprio in questo ambito che Bax pubblicherà la definizione che abbiamo letto nelle prime righe.

Ma è tutto qui? Naturalmente no.

Con gli anni molti studiosi hanno disquisito anche sull’efficacia della definizione stillata da Bax. Per questo, nel 2004 a Bethesda(USA), durante uno workshop, è stata nuovamente rivista la definizione che è oggi di riferimento e che recita: 
“La Paralisi Cerebrale Infantile è un gruppo di disordini permanenti del movimento e della postura che causa una limitazione della funzionalità motoria, attribuiti ad un danno cerebrale non progressivo incorso durante la vita fetale o neonatale. Il disordine motorio è a volte accompagnato da altri disturbi, come disturbi della sensibilità, disturbi cognitivi e della comunicazione, epilessia e problemi muscolo-scheletrici secondari”.
Quello che preme sottolineare in tutte queste definizioni è che la non-progressività si riferisce al meccanismo di danno: la causa del danno non è progressiva, mentre le manifestazioni e i disturbi che questo può provocare devono essere messe in relazione con la crescita e lo sviluppo di un sistema complesso come il cervello e il corpo di un bimbo in crescita. Infatti, un danno cerebrale ad una struttura non implica soltanto il malfunzionamento di quel punto specifico del cervello, ma anche una futura impossibilità di collegamento di quell’area con altre, collegamenti che a livello funzionale possono svilupparsi man mano che si cresce. La serie di disturbi che quindi possono interessare questi pazienti è molto varia e a volte complessa.
Secondo quest’ultima definizione, quindi, la PCI si configura come un insieme di disturbi “dello sviluppo” che interessa però primariamente le funzioni motorie.

Paralisi Cerebrale infantile: chi colpisce?

Questa patologia colpisce, come da definizione, l’età infantile, ed è il risultato di lesioni di diverso tipo a livello cerebrale. Distinguendo la grande popolazione neonatale in bambini nati a termine di gravidanza (cioè dopo la 37° settimana di gravidanza) e quelli nati prima del termine della gravidanza, possiamo dire che le cause di danno nel primo gruppo sono più spesso prenatali (fattori genetici, infettivi, malformativi) e meno spesso perinatali (prima, durante e poco dopo la nascita), mentre nel secondo gruppo, soprattutto nei bimbi estremamente prematuri, agiscono fattori prevalentemente perinatali e problemi che insorgono dopo la nascita ma che dipendono dalla immaturità del sistema nervoso centrale, vulnerabile a tanti insulti e facilmente incline a sviluppare complicanze quali emorragie (nei ventricoli cerebrali, nel cervelletto), ischemie (infarti venosi), infezioni ed infiammazioni in molte aree dell’encefalo.

Quanto è frequente?

La PCI è la causa più frequente di deficit motori nell’età pediatrica e colpisce, con vari livelli di gravità e varie problematiche, approssimativamente 2-3 bambini su 1000.

Come si presenta e cosa comporta nella vita del neonato?

Come abbiamo accennato, la presentazione e la sintomatologia di questo gruppo di disturbi è varia. Si possono distinguere 3 forme prevalenti, che però molto spesso si possono sovrapporre tra di loro: Sindromi spastiche, distinte in forme emiplegiche, diplegiche e tetraplegiche; Sindromi discinetiche; Sindromi atassiche.

Sindromi spastiche 
Sono sindromi che si caratterizzano per la rigidità e la plegia (abolizione del movimento volontario). Si definiscono emi-plegie se interessano arto inferiore e superiore dello stesso lato, di-plegie se interessano entrambi gli arti inferiori (più raramente quelli superiori) e tetra-plegie se colpiscono tutti e 4 gli arti.
I disturbi si manifestano di solito mesi dopo la nascita: ci si accorge che il bimbo utilizza meno un braccio, o ha un atteggiamento motorio strano (ad esempio nei primi tentativi di prensione). L’interessamento dell’arto inferiore viene rilevato successivamente. Sono naturalmente possibili quadri clinici caratterizzati non da perdita completa di movimento, ma da una riduzione o minore fluidità: tutto dipende dalla gravità del danno neurologico primario e dalla possibilità di un intervento di riabilitazione.

Sindromi discinetiche
Questi bambini sono incapaci di regolare il tono muscolare, organizzare ed eseguire i movimenti volontari e mantenere una postura. Possono essere soggetti a movimenti involontari effettuati senza nessuno scopo, che impediscono al bimbo di effettuare un movimento volontario pulito e finalistico. Questa sindrome è dovuta prevalentemente alla lesione dei cosiddetti “nuclei della base”. L’intelligenza non è compromessa, ma il grave coinvolgimento motorio può limitare le loro capacità di adattamento. Ad esempio la scrittura è di difficile acquisizione, per questi bambini.

Sindromi atassiche
Questa manifestazione è molto più rara rispetto al passato, e interessa bambini con lesioni primarie al cervelletto. Il termine “atassia” deriva dal greco “tasso” che significa “ordinare”; preceduto dall’alfa privativo, sta quindi a significare “movimento disordinato”, che nella pratica si traduce in un’incapacità nella coordinazione, nel mantenimento dell’equilibrio e esecuzione di movimenti imprecisi.

Come si cura?

Il trattamento di questa patologia è un trattamento multidisciplinare riabilitativo, perché il danno iniziale, provocato da insulti di vario tipo, non è purtroppo riparabile. La riabilitazione si avvale di figure quali il fisioterapista, il neuropsicomotricista, il logopedista, che guidati dal neuropsichiatra infantile, seguiranno il bambino fin dai primi mesi di vita, per far in modo che lo sviluppo sia guidato, con l’obiettivo di raggiungere la massima capacità funzionale in ogni bambino.

Dott.ssa Ilaria Giordano




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